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Il catechismo del Codex Purpureus Rossanensis

a cura di Giovanni Sapia

 

 

 Palazzo San Bernardino Sala Rossa Rossano Centro Storico (Cs) | 29 Giugno 2017

   
 

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02-07-17

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Note sul volume

Stralcio della Relazione di Giovanni Morello,

 Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma

Titolo Note tecniche sulla porpora in: Il catechismo del Codex Purpureus Rossanensis
Natura Monografia
Curatore Giovanni Sapia
Autore Franco Emilio Carlino 
Tipo documento Testo a stampa
Pubblicazione Imago Artis Edizioni
Anno Giugno 2017
Descrizione Opera illustrata
Pagine 160
Misure del volume cm. 14 x 21
Soggetto dell'opera Codex Purpureus Rossanensis
Collezione  
Paese di pubblicazione Italia
Lingua di pubblicazione Italiano

 

 

 

 

Il Volume curato da Giovanni Sapia, edito dalla Università Popolare di Rossano e Imago Artis Rossano, è opera di membri del Consiglio dell'Università Popolare e di suoi autorevoli estimatori e amici.

Con la sua relazione il Dott. Giovanni Morello, della Biblioteca Apostolica Vaticana, di Roma ha tracciato un exscursus ricco e ben articolato sulla struttura del libro e i suoi contenuti, “trenta contributi -argomenta il Dott. Morello- che arricchiscono il volume anche se, come spesso avviene per opere a più mani, di consistenza e natura varia ma ognuno suscettibile di interesse per il tema trattato. Il volume […] è articolato in tre parti: la prima, intitolata “Momenti e aspetti della storia della città”, costituisce quasi un introito erudito che cerca di posizionare il manoscritto nelle vicende storiche rossanesi. […] La seconda parte affronta, ad ampio raggio, le problematiche che hanno accompagnato la formazione e la storia del manoscritto, alcune di queste destinate forse a restare sempre nascoste nelle pieghe del tempo. Si tratta infatti in questa seconda parte del “Codice: il nome, la struttura, le vicende, i problemi”. Sono presentati oltre dieci interventi, non solo di studiosi rossanesi, ma anche di amici e cultori della storia cittadina. […] Infine la terza parte, quella più vicina alle corde dei nostri interessi, affronta più direttamente: “Le miniature e i commenti” che riguardano il purpureo”. Nel prosieguo del suo intervento il Dott. Morello si è soffermato sulla trattazione specifica dei contenuti e sulle tavole ricordando via via i diversi autori che con il loro contributo hanno contribuito alla formaizone del libro”. Avviandosi alle conclusioni ha argomentato: “Siamo giunti così alla fine di un lungo viaggio fatto attraverso le pagine stimolanti di questo nuovo volume che, oltre catechismo, potrebbe essere definito quasi una sorte di gloriosa corona del rosario, stante i tanti misteri gloriosi e gaudiosi, ma anche qualcuno doloroso, a cui potremmo correlare il Codex purpureus rossanensis. Sfogliando le pagine di questo libro, così gradevole anche nella sua forma editoriale, vorremmo rivolgere al pubblico grazie a tutti coloro che hanno contribuito a realizzarlo, non solo con gli scritti, ma anche con la silenziosa e operosa azione volta dietro le quinte per la buona riuscita dell’impresa”.

Per quanto concerne il giudizio critico relativo al contributo: Note tecniche sulla porpora il Dott. Morello così ha articolato: [...] A proposito  delle risultanze del complesso intervento di restauro e di studio che ha tenuto lontano da Rossano il Codex per alcuni anni, e in attesa della pubblicazione ufficiale dei risultati dell'intervento, si leggono con vero interesse le pagine scritte da Tullio Masneri che dà conto di alcune risultanze significative, a cui si affiancano le note puntuali di Franco Emilio Carlino riguardo alla porpora e alla sua fabbricazione che per quanto concerne il nostro manoscritto, non è stata realizzata -come sin qui ritenuto- con la secrezione di un mollusco, noto come murice, ma con il succo altrettanto raro di un vegetale, chiamato oricello. E ciò potrebbe essere indizio importante per la localizzazione del manoscritto, che, secondo Carlino, potrebbe portare ad Alessandria d'Egitto, riprendendo così la proposta di Fernanda De' Maffei. 

 

Il contributo presente nel volume pp. 56-58

NOTE TECNICHE SULLA PORPORA

Franco Emilio Carlino, Docente di Materie Tecniche, Membro del Consiglio Direttivo dell’Università Popolare

Le recenti vicende del restauro del Codex Purpureus Rossanensis hanno alimentato il dibattito tra esperti, studiosi, ricercatori, del resto già molto vivo fin dalla sua riscoperta, sulla complessa problematica che lo concerne, dal luogo, tempo e modo della sua composizione alla sua presenza in Rossano, alla sua importanza storica e culturale, al suo colore purpureo.

Io lasciando agli studiosi specifici tutti gli altri problemi, mi soffermerò esclusivamente sui materiali che danno origine alla porpora e di conseguenza alla colorazione del Rossanensis, argomento di vivo confronto, ma nutrito spesso di idee messe in campo senza alcun supporto documentale e ultimamente smentite dalle analisi di laboratorio dell’Istituto di restauro.

Mi appello, per questo, alla mia esperienza di insegnante di Tecnologia, che da sempre ha avuto familiarità con lo studio dei materiali in generale, per cui pergamena, oro e porpora, insieme a tanti altri di nostra conoscenza, sono stati e continuano ad essere per me oggetto di accurato studio e approfondimento, che mi hanno portato a conoscerne e divulgarne caratteristiche e metodi di manipolazione e di trattamento già molti anni addietro, con l’inizio della mia professione.

Sia il prezioso e ricercato metallo giallo che la porpora sono stati in ogni tempo ritenuti prodotti necessari alla guarnizione e alla tintura delle pergamene dei Codici purpurei. La pergamena, il cui nome deriva dalla città di Pergamo in Asia Minore, uno dei più rilevanti nuclei del sapere ellenistico e sede di un’autorevole biblioteca emula di quella famosa di Alessandria d’Egitto, rimpiazzò, fin dal III° secolo a.C., come supporto scrittorio, il papiro, in quanto si adattava più convenientemente all’imbastitura dei primi libri scritti a mano e indicati come codici; materiale che si diffuse ben presto nell’intero Impero Romano, approdando più tardi, grazie alla cultura cristiana, anche in Europa.

Finora non sono stati pochi a supporre o a puntellare l’opinione che la coloritura rossastra dei fogli del Codex Purpureus Rossanensis fosse originata dal secreto del mollusco gasteropodo (murice), presente abbondantemente negli avvallamenti marini lungo il litorale del Mediterraneo, il cui guscio si caratterizza per il lungo peduncolo e le sporgenze aguzze presenti sulla massa, provvisto di un minuscolo rigonfiamento custodente una sostanza liquida e giallastra, che a contatto con l'aria muta la sua gradazione assumendo la singolare coloritura del rosso porpora, e il cui utilizzo, insieme all’uso dell’oro sulle pergamene, si richiama a usanze classiche e bizantine.

Nei fatti l’impiego della colorazione porpora, decisa nella sfumatura del rosso, ha da sempre avuto anche particolare valore: già in uso presso i Romani per colorarne gl’indumenti in quanto immagine degli ordini senatorio ed equestre, fu in seguito adoperata anche in ambito regale, in special modo dai Bizantini, e attualmente l’uso del rosso porpora si riscontra nella chiesa cattolica come segno della onorabilità e autorità cardinalizia. Tale realtà, a mio parere, ha fatto consolidare nel tempo la diffusa opinione che, essendo la porpora un materiale pregiato e nobile, soprattutto per i suoi costi, a disporne fossero solo sovrani, aristocratici o casati benestanti. Tale opinione escluderebbe la possibilità che la porpora potesse, in qualche modo, essere prodotta da ceti sociali meno facoltosi, tra cui i monaci amanuensi, specialisti nell’arte scrittoria e continuamente impegnati dalla passione e dall’interesse nella produzione di codici, ma non esclude, comunque, che l’Evangeliario rossanese possa essere stato da loro composto su commissione.

La cosa di cui finora si è parlato poco, a quanto almeno mi consta, è che il colore rosso porpora non si estraeva e non si estrae solo dal murice, ma poteva essere ricavato anche dai vari componenti delle piante: radici, corteccia, foglie, bacche, frutti, e anche da licheni, insetti, minerali.

L’uomo infatti non trascurò mai di usare quanto viene offerto dalla natura, compreso il colore, insieme ai numerosi elementi per poterlo rinnovare.

Parto da queste considerazioni per inserire la mia opinione nel dibattito sul rosso porpora del Codice, limitandomi ad una breve e sintetica descrizione dei materiali da cui si può ottenere la porpora, una sostanza straordinaria estratta tramite accurati metodi di separazione, in grado di conferire al prodotto trattato il caratteristico color rosso-viola.

Va detto anzitutto che tra i più rinomati consumatori, ma allo stesso tempo venditori della pregiata sostanza scopriamo i Fenici, nome che deriva dal vocabolo greco Phòinikes che si accomuna alla parola phòinix, che significa “rosso porpora”, un popolo di raffinati e qualificati tintori, capaci di appagare anche considerevoli ordinazioni, con copiosi ricavi. Utilizzata all’inizio per la colorazione di fibre tessili naturali come lana e la seta, conferiva al capo da colorare un grado di coloritura corrispondente al numero delle immersioni fatte.

In campo delle piante, quelle dalle quali è possibile ricavare porpora sono: la Buglossa o (lingua di bue), impiegata anche oggi nel campo della cosmetica, una pianta erbacea del gruppo delle boraginacee, l’arbusto di Henna, già adoperato come colorante naturale a partire dal 1300 a.C. dagli Egizi e oggi diffusamente presente nel settore della cosmetica e tessile, l’Alkanna Tinctoria, la cui polvere è usata anch’essa nella cosmesi, come tinta alimentare e nella farmacologia.

Per quanto riguarda il mondo dei licheni, che vivono in stretto rapporto con altre piante, menziono il Kosthos o Kisthos, dal quale si ottiene una essenza conosciuta come Oricello, impiegata per colorare lana e seta, con la precisazione che  lo stesso Oricello  è un lichene noto come Roccella Tinctoria, utilizzato per tagliare altri tipi di porpora allo scopo di calmierarne il costo nella vendita, già in uso presso i Fenici, a Creta e presente anche in Italia Meridionale nel comprensorio tarantino, infine il chermes, un’essenza estratta dal corpo essiccato delle cocciniglie, un parassita della quercia conosciuto come Coccus Ilicis. Anche da altre piante si può ottenere una grande varietà di tinte, che compongono un interessante ventaglio di colori.

Alcune varietà di rosso porpora erano ottenuti dai minerali tra i quali, per citarne uno solo, il minio, una sostanza a base di ossido di piombo, dal deciso aspetto rossastro, impiegata nel processo di lavorazione per la produzione del vetro a base di piombo, e anche presente nel settore degli smalti.

Dopo queste modeste precisazioni, mi pare ovvio che non si può dare per certo, senza alcun supporto documentale, che il colore rosso del Codex Purpureus Rossanensis derivi dal murice gasteropode, escludendo a priori l’utilizzo di qualunque altra sostanza, anche alla luce delle ultime e sofisticate analisi di laboratorio espletate in sede di restauro e rese note dalla stampa nazionale, che hanno definitivamente accertato che la porpora usata per la composizione del Rossanensis non fu quella proveniente dal murice, ma dall’Oricello, tintura, come si è detto, di origine vegetale.

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Ultimo aggiornamento: domenica, 02 luglio 2017                                                                                                                                                                                                             Copyright © Franco Emilio Carlino. Tutti i diritti riservati

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