Volume Il catechismo del Codex Purpureus Rossanensis a cura di Giovanni Sapia |
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Palazzo San Bernardino Sala Rossa Rossano Centro Storico (Cs) | 29 Giugno 2017 |
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02-07-17 |
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Il contributo presente nel volume pp. 56-58 NOTE TECNICHE SULLA PORPORA Franco Emilio Carlino, Docente di Materie Tecniche, Membro del Consiglio Direttivo dell’Università Popolare Le recenti vicende del restauro del Codex Purpureus Rossanensis hanno alimentato il dibattito tra esperti, studiosi, ricercatori, del resto già molto vivo fin dalla sua riscoperta, sulla complessa problematica che lo concerne, dal luogo, tempo e modo della sua composizione alla sua presenza in Rossano, alla sua importanza storica e culturale, al suo colore purpureo. Io lasciando agli studiosi specifici tutti gli altri problemi, mi soffermerò esclusivamente sui materiali che danno origine alla porpora e di conseguenza alla colorazione del Rossanensis, argomento di vivo confronto, ma nutrito spesso di idee messe in campo senza alcun supporto documentale e ultimamente smentite dalle analisi di laboratorio dell’Istituto di restauro. Mi appello, per questo, alla mia esperienza di insegnante di Tecnologia, che da sempre ha avuto familiarità con lo studio dei materiali in generale, per cui pergamena, oro e porpora, insieme a tanti altri di nostra conoscenza, sono stati e continuano ad essere per me oggetto di accurato studio e approfondimento, che mi hanno portato a conoscerne e divulgarne caratteristiche e metodi di manipolazione e di trattamento già molti anni addietro, con l’inizio della mia professione. Sia il prezioso e ricercato metallo giallo che la porpora sono stati in ogni tempo ritenuti prodotti necessari alla guarnizione e alla tintura delle pergamene dei Codici purpurei. La pergamena, il cui nome deriva dalla città di Pergamo in Asia Minore, uno dei più rilevanti nuclei del sapere ellenistico e sede di un’autorevole biblioteca emula di quella famosa di Alessandria d’Egitto, rimpiazzò, fin dal III° secolo a.C., come supporto scrittorio, il papiro, in quanto si adattava più convenientemente all’imbastitura dei primi libri scritti a mano e indicati come codici; materiale che si diffuse ben presto nell’intero Impero Romano, approdando più tardi, grazie alla cultura cristiana, anche in Europa. Finora non sono stati pochi a supporre o a puntellare l’opinione che la coloritura rossastra dei fogli del Codex Purpureus Rossanensis fosse originata dal secreto del mollusco gasteropodo (murice), presente abbondantemente negli avvallamenti marini lungo il litorale del Mediterraneo, il cui guscio si caratterizza per il lungo peduncolo e le sporgenze aguzze presenti sulla massa, provvisto di un minuscolo rigonfiamento custodente una sostanza liquida e giallastra, che a contatto con l'aria muta la sua gradazione assumendo la singolare coloritura del rosso porpora, e il cui utilizzo, insieme all’uso dell’oro sulle pergamene, si richiama a usanze classiche e bizantine. Nei fatti l’impiego della colorazione porpora, decisa nella sfumatura del rosso, ha da sempre avuto anche particolare valore: già in uso presso i Romani per colorarne gl’indumenti in quanto immagine degli ordini senatorio ed equestre, fu in seguito adoperata anche in ambito regale, in special modo dai Bizantini, e attualmente l’uso del rosso porpora si riscontra nella chiesa cattolica come segno della onorabilità e autorità cardinalizia. Tale realtà, a mio parere, ha fatto consolidare nel tempo la diffusa opinione che, essendo la porpora un materiale pregiato e nobile, soprattutto per i suoi costi, a disporne fossero solo sovrani, aristocratici o casati benestanti. Tale opinione escluderebbe la possibilità che la porpora potesse, in qualche modo, essere prodotta da ceti sociali meno facoltosi, tra cui i monaci amanuensi, specialisti nell’arte scrittoria e continuamente impegnati dalla passione e dall’interesse nella produzione di codici, ma non esclude, comunque, che l’Evangeliario rossanese possa essere stato da loro composto su commissione. La cosa di cui finora si è parlato poco, a quanto almeno mi consta, è che il colore rosso porpora non si estraeva e non si estrae solo dal murice, ma poteva essere ricavato anche dai vari componenti delle piante: radici, corteccia, foglie, bacche, frutti, e anche da licheni, insetti, minerali. L’uomo infatti non trascurò mai di usare quanto viene offerto dalla natura, compreso il colore, insieme ai numerosi elementi per poterlo rinnovare. Parto da queste considerazioni per inserire la mia opinione nel dibattito sul rosso porpora del Codice, limitandomi ad una breve e sintetica descrizione dei materiali da cui si può ottenere la porpora, una sostanza straordinaria estratta tramite accurati metodi di separazione, in grado di conferire al prodotto trattato il caratteristico color rosso-viola. Va detto anzitutto che tra i più rinomati consumatori, ma allo stesso tempo venditori della pregiata sostanza scopriamo i Fenici, nome che deriva dal vocabolo greco Phòinikes che si accomuna alla parola phòinix, che significa “rosso porpora”, un popolo di raffinati e qualificati tintori, capaci di appagare anche considerevoli ordinazioni, con copiosi ricavi. Utilizzata all’inizio per la colorazione di fibre tessili naturali come lana e la seta, conferiva al capo da colorare un grado di coloritura corrispondente al numero delle immersioni fatte. In campo delle piante, quelle dalle quali è possibile ricavare porpora sono: la Buglossa o (lingua di bue), impiegata anche oggi nel campo della cosmetica, una pianta erbacea del gruppo delle boraginacee, l’arbusto di Henna, già adoperato come colorante naturale a partire dal 1300 a.C. dagli Egizi e oggi diffusamente presente nel settore della cosmetica e tessile, l’Alkanna Tinctoria, la cui polvere è usata anch’essa nella cosmesi, come tinta alimentare e nella farmacologia. Per quanto riguarda il mondo dei licheni, che vivono in stretto rapporto con altre piante, menziono il Kosthos o Kisthos, dal quale si ottiene una essenza conosciuta come Oricello, impiegata per colorare lana e seta, con la precisazione che lo stesso Oricello è un lichene noto come Roccella Tinctoria, utilizzato per tagliare altri tipi di porpora allo scopo di calmierarne il costo nella vendita, già in uso presso i Fenici, a Creta e presente anche in Italia Meridionale nel comprensorio tarantino, infine il chermes, un’essenza estratta dal corpo essiccato delle cocciniglie, un parassita della quercia conosciuto come Coccus Ilicis. Anche da altre piante si può ottenere una grande varietà di tinte, che compongono un interessante ventaglio di colori. Alcune varietà di rosso porpora erano ottenuti dai minerali tra i quali, per citarne uno solo, il minio, una sostanza a base di ossido di piombo, dal deciso aspetto rossastro, impiegata nel processo di lavorazione per la produzione del vetro a base di piombo, e anche presente nel settore degli smalti. Dopo queste modeste precisazioni, mi pare ovvio che non si può dare per certo, senza alcun supporto documentale, che il colore rosso del Codex Purpureus Rossanensis derivi dal murice gasteropode, escludendo a priori l’utilizzo di qualunque altra sostanza, anche alla luce delle ultime e sofisticate analisi di laboratorio espletate in sede di restauro e rese note dalla stampa nazionale, che hanno definitivamente accertato che la porpora usata per la composizione del Rossanensis non fu quella proveniente dal murice, ma dall’Oricello, tintura, come si è detto, di origine vegetale. |
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Ultimo aggiornamento: domenica, 02 luglio 2017 Copyright © Franco Emilio Carlino. Tutti i diritti riservati